PAROLE [7] - Cohousing

Cohousing

Un’altra espressione proveniente sia dalla lingua, sia dall’esperienza anglosassone, è questa di oggi che letteralmente si può tradurre come “casa insieme” oppure “co-abitazione”.

Se “coworking” significa lavorare insieme (in uno stesso spazio condiviso), “cohousing” significa abitare insieme in uno stesso spazio condiviso.

Molto interessante è come viene descritta dalla Treccani, grazie ad una miscellanea di pezzi usciti diversi anni fa su Repubblica, La Stampa e Corriere della sera. Eccola di seguito, ma al di là di quanto riportato si può affermare che la soluzione coabitativa sarà sempre di più attuale visto l’andamento dei settori immobiliari. Non più solo per immigrati, studenti e lavoratori, ma anche per persone anziane autosufficienti e per persone con scarso reddito disponibile.

<<Cohousing è la condivisione di spazi e servizi da parte di chi vive in unità abitative indipendenti, ma situate in uno stesso complesso. Il modello è anglosassone e da decenni funziona molto bene in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Nordeuropa. Il termine “cohousing”, ovvero coabitazione, non ha una precisa traduzione in italiano. Per chiarire il concetto ci vogliono quattro parole: abitazioni private, servizi condivisi. Non è una comune stile figli dei fiori e neanche un condominio anonimo e spersonalizzante, ma un luogo (fisico e dell’anima) a mezza via tra l’una e l’altro. (Andrea Laffranchi, Corriere della sera, 15 ottobre 2006, p. 6, Primo piano). Il “cohousing”, una scelta abitativa incentrata sulla condivisione degli spazi, è nato in Danimarca verso la fine degli anni ’60. Da poco più di due anni (oggi 15 anni – n.d.r.) è approdato in Italia, grazie al lavoro di ricerca di Innosense, la prima innovation agency italiana, dapprima in Toscana e Lombardia, oggi anche in Piemonte, (L. Ind., Stampa, 4 novembre 2007, p. 57, Cronaca di Torino). La coabitazione intesa come condivisione dello stesso tetto tra più persone è stata sperimentata in passato. Solo che adesso si chiama cohousing nell’illusione che il neologismo anglosassone riesca a trasformare un bisogno in una tendenza. Come hanno riferito i giornali, il progetto è stato messo in piedi da un paio di associazioni che dicono di assistere gli inquilini senza andare contro gli interessi dei proprietari di alloggi. (Salvatore Tropea, Repubblica, 1° marzo 2008, Torino, p. III)>>.

Mi sento di aggiungere che l’idea è buona, i bisogni sociali si sono moltiplicati, esperienze favorevoli ci sono da anni. Vedo difficoltà ad accettare, ma anche a proporre questa nuova via. Anche su questo versante in Italia arriviamo almeno vent’anni dopo.

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Immagine: Frogs by Pixabay

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