Counselling e lavoro di comunità

In questo caldo mese, ma anche mese assai denso di incertezze, di contraddizioni, di manipolazioni, di sbandamenti sociali e, purtroppo, di grandi tragedie, sono tornato a meditare sulle possibilità che il counselling può creare nel lavoro di comunità.

Ciò presuppone che sia possibile un lavoro di comunità, ossia che le parti in gioco siano disposte a dargli spazio e a seguirne le regole e le implicazioni. Non solo, occorre che le parti in gioco intuiscano che non ci può essere spazio che per questa modalità di "lavoro insieme". Ogni altra strada, a tutti i livelli, pare essersi preclusa. Lo è, da un lato, perché viene preferita perfino dai "leader" la scorciatoia del giudicare, colpevolizzare, demonizzare, confondere, falsificare, insultare, il tutto dando voce anche tatticamente alla propria pancia e gridando, non certo "comunicando" che è altra cosa. In estrema sintesi usiamo due parole gentili: mistificare e manipolare. Pare non ci sia più scampo. Così fan tutti. E alla luce del giorno.

Lo è, dall'altro lato, perché questa strada viene seguita anche grazie alle nuove modalità della cosiddetta democrazia digitale - dalla stragrande maggioranza di chi usa internet e i cosiddetti "social".

E' un circuito vizioso. Ha cominciato qualcuno, il gioco si è gradualmente e lentamente allargato fino a rendersi massificato, con la partecipazione che si è sempre più ampliata fino a coinvolgere imprenditori, enti ed istituzioni, imprese, giornalisti, intellettuali, scrittori, artisti e, in ultimo, la totalità dei politici, compresi i più importanti a livello istituzionale.

Oggi si parla di democrazia diretta digitale (è recente la visione di un noto stratega che prevede in pochi anni la fine del parlamento).

Se andiamo indietro di alcuni lustri, con internet che si stava sviluppando in tutte le direzioni, si intravedeva in molti, io ero tra questi, un circuito virtuoso che avrebbe potuto comunque mantenere al centro il rispetto verso la persona e verso le comunità.

Invece come è avvenuto spesso nella storia dell'uomo, il processo si è realizzato e si presenta oggi con dei vizi di forma e di sostanza.

Quanto avviene nel nostro Paese, in vari versanti della vita pubblica e privata, dimostra il nostro grado di arretratezza, ma anche la nostra grande capacità di non valorizzare le nostre potenzialità per il bene e per il progresso comunitario, anzi di saperle sfruttare per il bene di pochi o per raggiungere nuovi centri di potere.

Quanto sta succedendo non è banale, è più grave di quanto si possa immaginare. Eppure siamo in una bolla d'indifferenza generale.

Di questi tempi sembra che tutti abbiano smarrito il valore delle cose e che, allo stesso tempo, sia tutto reso semplice, classificabile e omologabile. A partire dalle parole che stanno prendendo tutto lo spazio disponibile, offrendo l'illusione che certe situazioni di fondamentale importanza non siano più così importanti.

La parola è sfruttata e viene servita abbondantemente e continuamente. Tutti parlano contro tutti. Nessuno ascolta più nessuno.

In questo mese sono successe alcune tragedie che non possono lasciarci indifferenti. Qui la comunità viene tirata in ballo solo per essere strumentalizzata per fini che nulla hanno a che vedere con il cosiddetto bene comune. Nel caso del ponte autostradale crollato, evento gravissimo, continuare a strumentalizzare significa replicare il tragico crollo e fertilizzare la divisione tra persone e comunità che diviene poi, come successo a Genova, una profonda rottura dalle conseguenze pesantissime. 

Orbene, occorre reagire ed essere energici, servono interventi importanti per sanare le ferite di una città, di molte persone ferite (quelle sopravissute), nel dolore (i famigliari dei morti), gli sfollati (moltissimi) e per ricordare adeguatamente coloro (tanti) che ci hanno rimesso la pelle.

Occorre unire le parti divise.

Qui ci sta un lavoro di comunità in cui tantissime forze si possono mettere insieme per ricostruire, sanare, riprendere a vivere.

Non è lavoro di comunità quanto sta avvenendo, visibile ai nostri occhi, tramite insulti e colpevolizzazioni, tramite speculazioni in borsa, processi in piazza, tramite l'attivazione mirata di strumentalizzioni elettorali (non c'è un governo al lavoro, ci dobbiamo abituare a governanti in costante campagna elettorale).

Lavoro di comunità, e lo riprenderò meglio in altro pezzo, è per esempio il lavoro dei volontari e dei vigili del fuoco, come sempre impegnati in ogni grave evento. Non solo, è, prendendo atto di cause e responsabilità, guardare avanti cercando una comune direzione che sia benefica per la comunità intera. Non è utopia, o meglio, è utopia realizzabile. 

Dallo sport, come dall'arte, in situazioni tragiche, spesso si riparte con rinnovata fiducia e nuovo desiderio di riscatto.

E' da lì che promanano spunti e orientamenti utili al lavoro di comunità. E' il caso di Genova (non ho potuto non scegliere in web la foto oggi pubblicata twitter.com/In_TerriSport) in cui le fazioni avverse, sportivamente parlando, vogliono unirsi nella proposta di guarigione di una gravissima ferita comunitaria.

Non è facile, ma, come ci insegna il counselling comunitario, occorre ricercare una comune visione, valorizzando ciò che unisce. Emarginando ciò che divide.      [segue]

Gianni Faccin